Val di Non, autunno 1812
Il conte Lodovico Malaspina, ultimo rampollo di una stirpe di filosofi golosi, fece inchiodare in piazza un manifesto con inchiostro profumato al ginepro, un annuncio che avrebbe fatto sussultare il cuore e le speranze di numerose dame aspiranti contesse.
«Chi vorrà il mio cuore, dovrà prima conquistare il palato. Presentatevi al castello con la vostra miglior pietanza. Colei che mi sazierà l’anima, diverrà contessa.»
La dama di ogni famiglia per bene sussultò, come previsto. Non era il denaro a mancare, ma la creatività. Lodovico era famoso per due cose, l’amore per le terre lontane e la passione per il buon cibo. Innumerevoli chiacchiere giravano tra la gente, e molti erano convinti che nessuna donna avrebbe potuto prendere il posto di questi due grandi amori. I suoi pranzi erano leggendari quanto il suo essere diverso da ogni conte precedentemente conosciuto.
Nella tenuta dei Fenoglio, Iris sgranava fagioli osservando la padrona Letizia.
«Dovremmo partecipare, signorina. I vostri genitori…»
«Non dire sciocchezze! Preferirei sposare un libro di botanica» sbuffò lei, sfiorando l’erbario aperto. Era l’unica, tra le tante, a non avere il cuore in subbuglio e la mente al castello. L’amore non le interessava o forse, la spaventava.
«Lasciate che ci provi. Un ultimo regalo, prima che mi mandino via. Cosa avrete da perdere, in fondo?»
La voce di Iris si incrinò e gli occhi si fecero lucidi. A 25 anni, orfana e senza dote, sapeva che presto l’avrebbero sostituita con una cuoca più giovane e, a loro detta, più raffinata nella cucina.
Così, mesi di preparazione e indecisione sulla portata da offrire passarono in fretta come una primavera.
La vigilia della sfida, il castello sembrava un circo in preparazione. Dame in pellicce di zibellino, agghindate a festa, sedevano impazienti nella grande sala del castello, immaginando di diventarne la padrona.
Nella sala da pranzo, il conte attendeva con trepida attesa, come un bambino il giorno di Natale, che ogni cuoca delle famiglie più importanti servisse il suo piatto migliore. Per lui era un sogno.
Iris cercava di non rispondere alle maligne battute delle saccenti cuoche, certe che avrebbero dovuto cucinare per la famiglia reale ma, per scelta del destino, servivano famiglie meno importanti, seppur nobili.
La giovane, di umili origini, era intenta a grattugiare le patate per creare un impasto semplice ma così profumato che sarebbe venuta fame anche agli stomaci più sazi e raffinati. Ricordava sua madre che cantava dolci parole mentre preparava il suo piatto preferito.
I ricordi le tranquillizzarono il battito cardiaco e la rassicurarono.
Dalla propria cesta, con un gesto delicato e attento, tirò fuori la brocca di terracotta appartenuta ai suoi genitori, donatale dalla madre prima di partire per servire la famiglia in cui avrebbe poi lavorato. Gli occhi le brillavano. Era la prima volta che la utilizzava, da sempre nascosta per paura che le venisse buttata. Per i nobili non aveva valore, per lei era oro.
Con un brivido di paura e il sudore che iniziava a imperlarle la fronte, cercò di capire quante cuoche prima di lei dovevano ancora servire il conte. Aveva pochi minuti prima del suo turno. Con il battito accelerato, coprì con un telo di lino i suoi tortel di patate, li mise nel suo cesto e di corsa raggiunse la vecchia e abbandonata vigna che un tempo produceva un vino prezioso.
Appena venuta a conoscenza dell’insolita gara, si era recata ogni mattina e ogni sera, di nascosto e non senza difficoltà, in quel luogo silenzioso, dove ancora l’aroma dell’uva aleggiava nell’aria.
Nel capanno c’erano botti di quercia rovinate all’esterno ma in ottime condizioni per produrre un po’ di vino da servire al suo amato conte. Quella piccola vigna produceva ottimi grappoli d’uva e lei, fin da bambina, aveva visto la sua famiglia fare quello che chiamavano “oro liquido”.
Di corsa e con le gambe tremanti, si recò verso la botte che le aveva fatto compagnia negli ultimi mesi. Dal tino di quercia spillò il Groppello Lasterosse, vino scuro che sapeva di bosco, spezie e terra buona. Sudata e con la brocca tra le mani, arrivò pochi secondi prima di essere chiamata a servire il padrone del castello.
Sul tavolo del conte sfilarono fagiani farciti, zuppe ricche e dolci architetture che crollavano in profumi di zucchero e spezie orientali. Le cuoche più furbe ricordavano la passione del conte per l’Oriente.
Lodovico assaggiava con occhi chiusi, scartando ogni piatto con un sonaglio d’argento. Sembrava che nessuna portata, per quanto ben cucinata, penetrasse nella sua anima. Fino alla ciotola di terracotta di Iris.
«Cos’è questa umile cosa?» chiese, affondando la forchetta nel piatto.
«Tortel di patate, vostra signoria.»
Il conte masticò lentamente. Era un piatto così diverso dagli altri. Un impasto semplice, in cui riconobbe il profumo dei camini, la pazienza delle madri che nutrono senza grandi speranze e il coraggio delle cose semplici che brillano di luce propria. In pochi istanti i suoi viaggi tornarono nei suoi occhi attraverso dolci lacrime trattenute e i ricordi di un bambino coccolato dalla cuoca, anziché dalla famiglia, vennero a riaprire una vecchia ferita mai guarita del tutto.
Bevve un sorso di Groppello. «Questo vino… l’ho assaggiato solo da bambino, nella cantina di mio nonno.»
Iris arrossì e il cuore accelerò: «Le viti le ho trovate nei ruderi del vostro maniero abbandonato. Mi sono permessa di utilizzarle per offrirvi il vino della vostra terra, vostra signoria. Le ho chiamate Lasterosse per le sfumature rossastre che si intravedono alle prime luci dell’alba.»
Il conte la fissò con occhi severi. Iris notò le labbra increspate e la paura la pervase. Aveva scommesso la sua vita. Se non avesse potuto cucinare per l’uomo che amava, non avrebbe avuto ragione di continuare.
Il conte ordinò a tutte le cuoche di ritirarsi in cucina. Iris sentì le risate denigratorie alle sue spalle mentre rientravano.
«Chi è la padrona della cuoca che ha cucinato questo?» tuonò Lodovico.
Letizia venne fatta chiamare e presentare di fronte al conte. Per la paura, rischiò di inciampare nel suo lungo abito ricoperto di merletti.
“Voglio parlare con la sua cuoca. Adesso.” L’ordine fu chiaro e preciso.
Letizia, seguita da un cameriere, ringhiò a Iris di seguirli. Non le disse nulla ma l’imbarazzo era visibile sul suo volto pallido.
«Tutti fuori, tranne tu» esclamò il conte, quando tutti furono al suo cospetto, con voce profonda e autoritaria.
Iris tremava e cercò di spiegare la scelta del suo piatto. «Mio signore, se il piatto non è di vostro gradimento…»
«Mi hai fatto ricordare» la interruppe, togliendole una briciola dalla guancia. «che anche i re hanno bisogno di amore.»
Gli occhi di quell’uomo divennero lucidi, il sorriso si ingentilì e la voce si addolcì nel parlarle.
Un anno dopo.
La signorina Letizia sposò un libraio. Iris divenne capocuoca del conte. Si dice che Lodovico, ogni notte, si rechi in cucina ad aspettare che lei assaggi per prima il vino delle vigne riportate alla gloria. I tortel divennero il piatto preferito del conte che decise di servirli nei suoi banchetti imperiali.
Fine.
Mi sono divertita a scrivere un racconto ispirato ad una ricetta e ho scoperto un piatto davvero delizioso nella sua semplicità. Il vino accompagnato era profondo e mi ha ricordato la natura che tanto amo.
Sara Iannone
Rifugio Dei Lettori